domenica 6 gennaio 2013

Le mani

Mara entrò in quel bar già sicura di volersi abbandonare tra le braccia ristoratrici dell'alcool. Quella appena trascorsa era stata una settimana d'inferno. Al lavoro un imprevisto dietro l'altro, il capo che l'aveva accusata di non essere stata in grado di fronteggiare le difficoltà e il contratto in scadenza a breve. Dopo gli ultimi avvenimenti, se lo poteva proprio scordare il rinnovo.

In più, a complicare le cose ci aveva pensato Michele, il suo ex, che dopo sei settimane di assenza totale si era rifatto vivo, pregandola di fissare un incontro. Dio quanto era stato difficile trattenersi e non cedere alla proposta di quello che, per lei, rimaneva nonostante tutto l'uomo migliore che avesse mai incontrato.

Così, Mara puntò dritto verso la porta del locale vicino all'ufficio e, senza nemmeno essere passata a casa a cambiarsi, si sedette come un automa al bancone consumato. Quando arrivò lei, il locale era ancora semi deserto. Solo due cameriere intente a prepararsi per il turno serale, un vecchio alcolizzato riverso sopra ad un tavolino e il barista, Pietro. Un uomo di mezza età a cui non importava nulla del suo aspetto, tanto che raramente si presentava rasato e pettinato.


Il suo volto era una maschera confusa e indecifrabile di linee profonde e contorte. Il lascito di una vita difficile. A Mara non importava nulla di conversare, quindi si limitò a chiedere il solito. Lui le versò velocemente un bicchierino di whisky, quasi senza che fosse possibile notare alcun movimento, e sussurrò: “Questo lo offre la casa!”.

Sì, perché Pietro lo sapeva bene che quando quella ragazzetta dall'aria stanca e sfiduciata si presentava lì, la serie di bicchierini non sarebbe finita tanto presto. E così fu, anche quella sera. Lentamente tutto intorno a Mara iniziò ad animarsi: gente che entrava, beveva, scherzava e strillava. Il quadro che andava delineandosi era tremendamente pittoresco e vuoto allo stesso tempo.

La ragazza, però, non si rendeva nemmeno conto del luogo in cui si trovava. Già dalla terza bevuta la sua testa si era fatta più leggera ed aveva iniziato a vagare libera, senza una meta precisa. Così, pensò a Michele e a quanto sarebbe stato bello e straziante farlo di nuovo suo. Immaginò chiaramente il momento in cui il capo l'avrebbe licenziata per la sua incompetenza, quando lei non sarebbe riuscita a trattenere le lacrime ipotizzando le difficoltà che le si sarebbero prospettate.

E mentre la ragazza poteva avvertire solo un leggero brusio scandire il ritmo dei suoi pensieri, la sala in cui si trovava traboccava di vita e voglia di evasione. Mara lo sapeva: era giunto il momento che qualcosa cambiasse nella sua vita. Proprio quando stava alzando lo sguardo per supplicare l'ennesimo whisky, le vide.

In fondo al bancone, immediatamente alla sua sinistra, quella visione l'attrasse con una tale potenza che lei stessa vacillò sullo sgabello sgangherato. In mezzo a quell'ammasso confuso di corpi e frastuoni, non poté non notarle. Due mani forti e virili che stringevano tra loro un bicchiere di latte, come se dovessero infrangerlo da un momento all'altro.

La giovane ragazza, confusa dalle esalazioni alcoliche che l'avvolgevano in una stretta morsa, non seppe capire il perché di quello che stava facendo. Senza nemmeno accorgersene, quasi che il suo corpo fosse mosso da una forza invisibile ma invadente, Mara iniziò a farsi spazio tra la folla. A furia di spintoni e gomitate, arrancava verso di loro. Verso quelle mani che pareva la chiamassero a sé.

Con uno sforzo improbo, simile a quello richiesto per affrontare una dura salita, la ragazzetta ormai ubriaca giunse in prossimità del suo desiderio. Nemmeno si era posta il problema di vedere a chi appartenessero quelle mani. In un certo senso, era come se avvertisse l'urgenza di toccarle, di assaporarne la consistenza, di lasciarsi penetrare dal loro odore.

Un istinto, quasi animalesco, che la portò al cospetto di un uomo dall'aria anonima, eppure così possente. Mara gli diede un'occhiata veloce, a tratti disinteressata, e si sedette al suo fianco. Ormai, il whisky ingurgitato le impediva di essere padrona del suo corpo e nemmeno fece caso al tempo che passava, alle parole dette e a quelle immaginate.

Il locale si svuotava inesorabilmente, le luci si spegnevano e la ragazza si ritrovò presto in strada con quell'uomo, di cui non era nemmeno convinta di conoscere il nome. In realtà, non sapeva nulla di lui e non ricordava una parola di quello che si erano detti. Poco importava.

Dopo poco furono soli, in un vicolo scarsamente illuminato sul quale si affacciavano le uscite secondarie di negozi e ristoranti. Vista la tarda ora, sembrava quasi che la città fosse disabitata. Anche se le sue facoltà mentali l'avevano abbandonata da tempo, Mara si sentiva tranquilla e sicura in compagnia di quell'uomo dai modi affabili, eppure così virili.

Stava quasi per ringraziarlo della compagnia con un bacio forse, oppure semplicemente salutandolo, quando le rivide. Quelle stesse mani che l'avevano condotta a lui. Le osservò mentre si sollevavano verso di lei. Com'erano brillanti sotto la flebile luce dei lampioni alogeni!

E le scrutò, come se le fosse impossibile distogliere lo sguardo da loro, da quegli arti così possenti e rassicuranti. Mentre si levavano in direzione della sua testa, una voce arrivata da chissà dove le disse: “Lasciati andare, tra poco sarai libera”. E lei decise di assecondare quel monito garbato. Socchiuse le palpebre e lasciò che quelle mani le si poggiassero delicatamente sul capo.

Mara non si mosse, nemmeno quando avvertì aumentare la pressione ed il dolore, cupo e profondo, che inevitabilmente ne derivò. Lasciò che quelle dita nodose si facessero spazio dentro al suo cranio, perfino quando avvertì colare il plasma, denso e caldo, sul suo viso.

L'unica cosa che riuscì a fare, mentre quelle mani le mostravano la pace, fu di inginocchiarsi, abbandonando completamente il corpo. Poi, arrivò il vuoto. Colmo e rasserenante, una dolce stretta che la stava conducendo verso chissà quale rotta. Un agognato viaggio imprevisto. La fuga risolutiva da un mondo che, in fondo, non l'aveva mai compresa.

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