venerdì 11 gennaio 2013

Neologismi: banalizzazione della lingua o nuova frontiera?


Pillole di Grammatica, la nostra rubrica del Venerdì, nasce con l'intento di offrirvi spunti, consigli ed approfondimenti partendo dall'idea che la conoscenza possa consentirci di impiegare al meglio un mezzo potente ed efficace come la lingua. Oggi, in realtà, vorrei allontanarmi lievemente dai temi classici fin'ora trattati e condividere con voi una mia personalissima riflessione circa un tema spinoso e controverso: quello dei neologismi.


La nostra lingua è forse una delle più ricche ed affascinanti. La vastità delle parole disponibili ci consente, infatti, di esprimere praticamente tutto quello che ci passa per la testa. Aprendo un dizionario, e leggendolo, ci rendiamo conto di quante opzioni abbiamo a nostra disposizione per tradurre in modo comprensibile le idee.

Ogni termine possiede un proprio significato specifico, fatto di sfumature e valori particolari. Credo che chiunque lavori con le parole non possa assolutamente non impiegare il dizionario come strumento per meglio svolgere la propria attività. Imparare ed utilizzare parole nuove, infatti, ci consente di ragionare ed affinare le nostre capacità espressive.

Ora vengo al punto. Vi è mai capitato di non trovare il termine adatto ad esprimere il concetto che avete in mente? Sì insomma, avete mai riscontrato difficoltà nel reperire la parola giusta? A me capita spesso, e quando mi ritrovo nella totale impossibilità di esprimermi apro il dizionario.

Nella maggior parte dei casi, dopo un'attenta consultazione, riesco a scovare il termine più appropriato. Ma, altre volte, questo risulta impossibile. Dunque, sembra proprio che ci siano situazioni in cui il ricorso a neologismi o termini stranieri sia inevitabile. Diciamoci la verità, moltissimi redattori sono convinti che l'inglese, per esempio, faccia tendenza. E allora, ci ritroviamo a leggere testi pieni di parole come skills, performances, publisher.

L'elenco potrebbe continuare all'infinito. Non fraintendetemi, la mia non è affatto una critica! Anzi, io stessa trattando argomenti tecnici – per lo più attinenti al mondo del marketing – tendo ad essere vittima di questa tendenza. Quello che mi chiedo è quanto sia giusto mettere da parte la nostra lingua, impoverendola in un certo senso col ricorso sfrenato a sostituti stranieri o nuovi. Ma andiamo con ordine.


I neologismi: cosa sono e a cosa servono

 

Quando parliamo di neologismi facciamo riferimento a tutte le parole di nuova formazione, nate per cercare di colmare lacune lessicali. Si tratta, in sostanza, di termini coniati con lo scopo di esprimere in maniera più adeguata un concetto, spesso legato a temi di attualità, che non trova una declinazione corretta nella lingua esistente.

I neologismi possono nascere dal basso, e quindi dalla gente comune che li impiega nel quotidiano, o dalla stampa, per esempio. In ogni caso, essi si palesano come una manifestazione sociale e prepotente dell'avanzare dei tempi. Insomma, alla base della loro creazione c'è sempre l'esigenza di adattarsi alle epoche ed alle loro evoluzioni.

Dunque, potremmo dire che i neologismi svolgono due funzioni principali:

  • colmano lacune lessicali, andando a coniare termini laddove ve n'era l'assenza;

  • aiutano ad esprimere con maggiore precisione un concetto o un fenomeno.

Personalmente ritengo che se impiegati per perseguire questi scopi, i neologismi non possano fare altro che bene ad una lingua. A patto che si tratti sul serio di termini efficaci e necessari. Per fare un esempio, da qualche anno la stampa ci ha abituati ad utilizzare il termine acquabomber per fare riferimento a quei criminali che inquinano le bottiglie d'acqua con sostanze tossiche al fine di causare un danno a chi le berrà.

In effetti anche questo termine è stato un neologismo, oggi accettato ed impiegato quotidianamente. Ora provate ad aprire il dizionario e a ricercare una parola che possa sostituirla efficacemente. Certo, potremmo impiegare termini come delinquente, criminale, attentatore (forse), ma nessuna avrebbe lo stesso specifico significato.

In questo caso, quindi, ritengo che la creazione di un neologismo abbia fatto bene alla nostra lingua, se non altro perché ci consente di esprimere chiaramente un particolare fenomeno. In altri casi, invece, penso sarebbe più opportuno rivedere le proprie scelte lessicali. Insomma, vi pare che balotelizzazione possa davvero trasformarsi da neologismo a termine accettato ed inserito nei dizionari?



Neologismi: un'opinione

 

Lo so che non avete iniziato a leggere quest'articolo con l'intento di sorbirvi il mio punto di vista sulla questione, dunque sentitevi liberi di saltare questo paragrafo se lo ritenete!

Come ho già detto, sono convinta che le parole siano un mezzo di espressione, e quindi di comunicazione, forte ed efficace. Per poterle impiegare al meglio – e quindi per fare in modo che siano una rappresentazione attendibile e fedele dei nostri pensieri – dobbiamo imparare a conoscerle e ad utilizzarle nel modo dovuto.

D'altronde, sono anche portata ad intendere le parole come etichette, insiemi in cui comprimere un concetto spesso più ampio e dettagliato. Da qui, un'idea di fissità che – per indole – non amo molto. Insomma, concepire le parole esistenti in una lingua come i soli validi strumenti di comunicazione di cui disponiamo credo sia limitativo.

Anzi, ritengo che la forza dei neologismi stia proprio nella capacità di comprendere la novità e l'esigenza d'espressione che ne sta alla base. Dunque, ben venga la creazione di parole nuove, purché destinate a render la nostra lingua maggiormente flessibile e capace di adattarsi al tempo che passa.



Letture consigliate

 

Inizialmente, pensavo di consigliarvi la lettura di un articolo piuttosto tecnico, volto a specificare maggiormente la questione dei neologismi. Qualche sera fa, invece, mi sono imbattuta in un post davvero interessante pubblicato sul blog ilvinoeleviole. Leggerlo mi ha fatto riflettere ulteriormente sulla questione, per questo invito anche voi a farlo. Non trovate che la parola esperenziare sia davvero affascinante?



E voi, cosa ne pensate?

 

Avete mai fatto caso a quanti neologismi impiegate quotidianamente? Vi siete mai soffermati a riflettere circa la loro natura e rilevanza? Cosa pensate a riguardo?

11 commenti:

  1. Umh... non mi sono mai chiesto quanti neologismi uso.
    Second me, è indispensabile usarli. Preferirei li si prendesse dal latino classico o dal greco antico perché prenderle da lingue vive mi sembra servilismo, ma va be'. Certo, non bisogna esagerare: le parole sono variabili, ma se esistono devono avere un senso per la cultura che le forma!

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    1. Ciao Davide,
      in effetti credo non basti acquisire i neologismi ed impiegarli senza riflessione alcuna. Insomma, penso si tratti di trovare la giusta combinazione, quella che ci permetta di essere sempre efficaci e credibili.

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  2. Purtroppo o per fortuna l'evoluzione di una lingua non può essere né controllata, né imposta. Se la gente dice "a me mi", finirà che fra cento anni (... facciamo una decina, va'), "a me mi" verrà considerato corretto anche dai grammatici più tignosi :D
    Perdona il fuori tema. Dunque, i neologismi. Anche io detesto alquanto il trasporto immediato di parole straniere in italiano. In genere indica una disciplina che in Italia è arrivata di recente, spesso praticata con competenze scientifiche basse, poco istituzionalizzata, ma che è importante e si vuole dare importanza. Il marketing, come dicevi, sa essere un esempio tremendo. Ma anche la gestione del personale (che oggi se non dici human resources sembra che parli con la voce di una mummia): le skills, la expertise, il know-how, il problem solving. Tutte baggianate, ovviamente. L'aziendalese ammeregano ha sostituito il burocratese forense come nuova malattia infettivo-degenerativa della lingua parlata e scritta -_-
    Poi invece girano dei neologismi bellissimi e utilissimi. "Cliccare" secondo me è fantastico. Un verbo perfettamente coniugato in italiano, che deriva da "to click", saggiamente privato della k. Onomatopeico, corretto, chiaro: che si può volere di più da un nuovo verbo? :)

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    1. Figurati, fuori tema più che comprensibile. Sei perdonato! :)

      Eh già, ci sono neologismi e neologismi. Personalmente credo che la cosa migliore sia sfruttare appieno la propria lingua e scoprire come adattarla alle nostre necessità.
      Insomma un lavoro non semplice da fare che, però, può generare risultati importanti! :D

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  3. Ciao Cristiana, grazie intanto per aver citato il Vino e le Viole.
    L'intento di quell'articolo era proprio di riflettere sulla capacità fermentative della lingua. Passami la metafora ma in quest'ultimo periodo sto facendo la pasta madre del pane e la cosa evidentemente influenza i miei pensieri.
    Dico "capacità fermentative" perchè la lingua è viva, continuamente in evoluzione. Alcuni neologismi vanno di moda. Io stessa lavorando nelle Risorse Umane di un'azienda mi trovo spesso ad utilizzare la parola "skill" e ti assicuro che ogni volta che lo faccio so che mi sto adeguando ad un sistema lingua che assai poco mi rappresenta e che comunuqe potrei dire la stessa cosa in italiano. Anche se in tal caso non parlerei di neologismo ma di prestito linguistico. Anche se il prestito è tale se la lingua che lo riceve ha una mancanza, un vuoto semantico. Non è proprio il caso di "skill", in italiano abbiamo molti modi per definirlo... Stessa cosa vale per "smart" (abbiamo scritto un articolo su smart http://www.ilvinoeleviole.it/smart-la-parola-che-tutti-usano-inutilmente/)
    In generale, credo che il neologismo sia una nuova frontiera, un'espansione,una "fermentazione"... ecco perchè ho scritto il post sulla parola "esperenziare" (http://www.ilvinoeleviole.it/neologismi-utili-allesistenza/), perchè "esperenziare" ha una forza pragmatica non paragonabile a nessun'altra parola o sintagma! :) ciaoooo

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    1. Ciao Federica,
      grazie per il commento! :)

      Ho trovato il tuo articolo interessante proprio per il messaggio che lascia trapelare. In effetti, credo che il neologismo (così come il prestito linguistico) serva per colmare dei vuoti, per andare ad arricchire la lingua di significati nuovi e vibranti.

      E mi pare che "esperenziare" riesca pienamente a farlo! :D

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  4. Concordo con Alessandro: l'aziendalese è ridicolo. Parole come competitor, unconventional, o anche stalking... ma dai, esiste il corrispettivo in italiano e è anche più chiaro. In questi casi parole del genere rovinano la lingua, nel caso di cliccare secondo me no.

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    1. Bene, è un piacere vedere che siamo tutti d'accordo! :D

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    2. Una volta ho sentito qualcuno dire "shiftare verso il client". Roba da far impallidire il mancusese (il dialetto burocratico-forense di Mancuso, ex ministro della giustizia): "gli accertamenti doverosamente individuati sono integralmente confermati" - traduzione in italiano: l'ispezione si farà.

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  5. D'accordissimo...per il burocratese consiglio "mi dichi - prontuario comico della lingua italiana" di Villaggio. Per i neologismi il discorso oggi si complica...un conto era che dante potesse pescare a piene mani nelle lingue classiche e in quell'abbozzo di volgare orale e un conto è la comunicazione nel suo momento di maggiore commistione tra linguaggi (orale, scritto, visivo, musicale, digitale etc). Per l'orale penso sia da privilegiare l'uso comune, ma chi scrive ha l'obbligo di rendere tutto più difficile, ricercato, raffinato.

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    1. Anche il tuo punto di vista offre un'interessante occasione per riflettere!

      In effetti, i neologismi possono essere impiegati in maniera e misura differente nel linguaggio parlato e in quello scritto.

      Nel primo caso, la tendenza a ricorrervi è certamente più frequente e tollerata. Mentre nel secondo sarebbe sempre opportuno ricercare modalità di espressione più adeguate e precise.

      In ogni caso, l'obiettivo di raggiungere una forma di comunicazione chiara e comprensibile resta fondamentale. Aspetto che, però, non deve portare alla banalizzazione della lingua e alla sua estrema semplificazione.

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